VERITA' PROCESSUALE E VERITA' STORICA
La sera del 18 maggio del '45, verso le 23,30, tre persone a bordo di una Fiat 1100 giunsero ad Arceto di Scandiano, davanti alla palazzina del dottor Luigi De Buoi, medico condotto di 44 anni.
Due di essi, qualificandosi agenti della polizia partigiana, si fecero aprire entrando in cucina ove era ancora riunita la famiglia: lui, la moglie e le tre figlie, bambine di 9, 10 e 11 anni, mentre un terzo si poneva all'esterno della casa.
In quelle giornate i prelevamenti erano all'ordine del giorno, era la caccia al fascista che coinvolgeva anche persone che non avevano nulla da rimproverarsi e che per questo non si erano allontanate.
Anche il dottor De Buoi era finito nella lista nera, ma non per trascorsi politici poiché non aveva aderito al fascismo repubblicano.
Non aveva voluto abbandonare il paese quantunque un suo paziente, certo Fontanesi, l'avesse consigliato di trasferirsi con la famiglia. Almeno finché non fosse passata l'ondata di prelevamenti e omicidi che, numerosi, andavano sconvolgendo la provincia.
I due partigiani imposero al medico di farsi accompagnare in questura a Reggio per un interrogatorio. Di fronte al suo ostinato rifiuto minacciarono che, diversamente, avrebbero prelevato le tre bambine. Allora si alzò, prese il cappello e uscì con loro.
Poco dopo si udirono ripetuti spari: erano l'esecuzione avvenuta a pochi chilometri, in un campo di erba medica,
Il cadavere del medico fu scoperto la mattina successiva con quattro fori alla testa.
Non si fecero indagini se non nel '49, ma in paese la vox populi fin da subito circolava con i nomi dei tre partigiani assassini: Giancarlo Berselli, Ormisdo Beggi e Amleto Paderni.
Questa voce fu raccolta quattro anni dopo dal maresciallo dei carabinieri di Scandiano, Guglielmo Innocenti che, al termine delle indagini, denunciò per omicidio i tre ex partigiani, scoprendone anche le ragioni: un certificato medico che il dottor De Buoi aveva rifiutato al Paderni, richiestogli per l'esenzione dalla chiamata alle armi.
Ho descritto questa vicenda nel mio "Compagno Mitra" e dopo pochi mesi dalla sua uscita mi giunse la querela delle figlie del Paderni: diffamazione aggravata.
Sostenevano che il loro padre era stato assolto per "non aver commesso il fatto", dunque che ne fosse innocente.
Dopo non facili ricerche sono venuto in possesso di tutto il processo istruttorio, confortandomi di aver descritto una verità fattuale e storica.
I tre partigiani, rilevavo dagli atti, erano stati riconosciuti da attendibili testimoni la sera stessa del prelevamento.
Uno dei quali testimoniò di essere accorso in casa De Buoi subito dopo, trovando la famiglia nella disperazione, le figlie e la moglie in preda a un pianto convulso.
La verità processuale è un'altra cosa.
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