22-2-2017

L'EX SEMINARISTA E IL "BOIA"

Un seminarista del collegio di San Martino in Rio, superato il ginnasio, decise d'arruolarsi in Marina. In paese avevano finito col chiamarlo "il Marinaio" perché gli piaceva vestirne la divisa anche quand'era in licenza.

Dopo l'8 Settembre disertò come tanti, avvicinandosi al movimento partigiano del suo paese, Verica, ov'era vissuto, orfano di padre, in povertà assoluta.

Ma dopo aver assistito ad atrocità che i suoi compagni commettevano sulle persone che andavano prelevando, se ne allontanò.

Al commissario politico non piacque questa scelta che considerò una defezione bella e buona, aggravata dal fatto che "il Marinaio" non avesse mai fatto mistero del proprio disappunto su quanto avveniva e neppure della sua profonda fede cristiana.

Ce n'era abbastanza perché venisse accusato d'essere spia, la più tremenda delle accuse in quelle tragiche giornate peraltro quasi mai provate realmente che, tuttavia si concludevano in un solo modo.

Prelevato da casa fu trascinato al comando partigiano, acquartierato nella stalla d'un casolare tutt'ora esistente nell'agro di Zocca, tra Modena e Bologna.

Quindici partigiani lo circondarono e tra questi uno dal nome di battaglia inquietante: "Boia".

Ecco che cosa mi riferì un testimone: "L'hanno fatto sedere su una sedia, poi cominciarono a passargli davanti, uno alla volta, colpendolo con schiaffi, pugni e calci. Poi gli dicono che la sua fine è segnata. Chiede un prete: - Te lo dò io il prete - grida un partigiano colpendolo con un fortissimo pugno che lo fa cadere. Poi gli fa aprire la bocca e vi sputa ordinandogli di ingoiare, perché disse: - la saliva d'un partigiano è sacra, non il prete! -"

Le sevizie perdurarono due o tre ore; "il Marinaio aveva la testa orribilmente deformata che quasi non se ne vedevano gli occhi.

Il supplizio giunse al suo epilogo quando il "Boia" avvicinatoglisi con un piccone, gli spaccò il cranio. Era il pomeriggio di domenica 13 agosto '44.

Raccolsi la testimonianza, visitai il luogo e la tomba, poi andai alla ricerca di questo "Boia" per arricchire con le sue generalità il lungo elenco dei grandi assassini. Era di Monzone, mi dissero, un paese vicino a Pavullo.

Mi rammaricai di non essere riuscito a saperne di più, ma non insistetti; per il mio libro avevo abbastanza da scrivere: il testimone, Terenzio Succi; il nome della vittima, Piero Fulgeri e la sua tomba nel piccolo cimitero di Verica, ove nel '46 le sue spoglie furono traslate dal bosco nel quale i suoi aguzzini l'avevano

 

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